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I L   P A S T O


Capitolo 1

Si alzò di scatto dal letto.
Era il giorno. Il giorno buono. Il giorno perfetto. Il giorno. Giorno.
Allungò la mano per aprire il congelatore. Vagò con lo sguardo il tempo di tenere fra le dita la confezione gelata.
Scelse un piattino blu rotondo, con un bordino bianco argenteo e ve la pose sopra.
Aprì lo sgabuzzino e pose il piattino blu col bordino bianco argenteo sul terzo ripiano in alto a sinistra.
La scelta non era stata casuale.
Scelta di notte e stelle. Magica.
Lui le passò accanto. Una scia di umori la avvertì della sua presenza.
Poi il silenzio.
La casa rimbombava il suo vuoto.
Controllò.
Si stava scongelando. Aveva un colore delicato. Non credeva, ancora.
Si mise la crema sul viso. Con movimenti circolari, lenti. Poteva respirare la grana fine del suo incarnato, toccarsi come se fosse un altro dal di fuori che lo faceva per lei.
Proiettarsi in alto e vedersi in piedi davanti al piattino rotondo blu col bordino bianco argenteo ed una superficie acquosa con al centro il suo castello.
La tavola era come era ogni giorno. Lucida di legno chiaro ma dalle venature calde. La candela brillava nella penombra della cucina, teneva vive le pareti. Guizzante, dava vita.
Lo stava osservando. Mentre mangiava.
Lentamente lui affettava con una lama sicura, portava alla bocca una morbida consistenza e lasciava che i denti provvedessero a triturare tutto in poltiglia e la saliva faceva il resto.
Contava i bocconi, con quiete sospesa.
Ogni singola cellula passava attraverso lei dentro di lui.
Scambio molecolare. Scambio di proteine e grassi e minerali e vitamine.
Si immaginava mentre lenta percorreva al buio il tratto intestinale, per poi espandersi, lasciandosi attaccare dai succhi gastrici.
Io sono dentro te, pensò con una luce negli occhi.
Ora ti appartengo. Completamente.


Capitolo 2

Lui smise di mangiare. Uno scatto quasi felino, accusatorio.
Perché continui a guardarmi così? - le chiese. O meglio, così le chiesero i suoi occhi.
Lei si morse un labbro e immaginò una risposta elaborata. Invece tacque. Si limitò a sorridere quietamente.
Il coltello e la forchetta formavano un angolo strano, una geometria inquietante.
Il tavolo sembrava allungarsi a dismisura o forse era la sua mente che si ritraeva, si rintanava nelle profondità torbide della coscienza. Lì dove non avrebbero potuta raggiungerla. Lì dove nessuno avrebbe potuto strapparle la felicità, la vittoria.
Non avrebbe mai creduto che un tale, incondizionato atto di sottomissione potesse offrire così vive delizie sensuali e un così selvaggio senso di possesso.
Possesso nella possessione. Orgoglio nell'inconscia condivisione.
E assaporava il momento della rivelazione, dilatandolo all'infinito. Laggiù, alla fine del tavolo. Dove luccicava l'acciaio chirurgico di un bisturi inconsapevole.
La fiamma della candela ondeggiò improvvisamente e le ombre danzarono nella stanza. Poi immobilità e silenzio.
Te ne andrai dunque, disse lei alla fine. Lui distolse lo sguardo, a disagio, e lo fissò sul bordino bianco argenteo.
I suoi occhi riflettevano il blu del piatto.
Ne abbiamo parlato fino alla nausea, rispose seccamente. Non mi trascinerai in una nuova discussione.
Lei udiva la voce infastidita di lui come dalle profondità del piloro, avvertendo una vibrazione di basso e una umida scivolosità di schiuma sonora. I succhi gastrici la avvolgevano.
Te ne andrai, ripeté. Stavolta era un'affermazione, svuotata di esitazioni. Tutto intorno i contorni si dissolvevano. Erano lacrime di dolore misto a gioia o l'effetto della rapida corrosione dei suoi tessuti organici?
E' il momento, pensò. Deve sapere.
Ovunque tu vada mi avrai con te, che lo voglia o no. Il nostro legame è indissolubile. Aveva parlato o stava solo immaginandolo? I confini della realtà intorno a lei diventavano sempre più labili. Indistinguibili.
Sopra - sotto, dentro - fuori. Il fuoco gastrico la consumava.
Cosa vuoi dire? Il tono di lui era grave, con un tremolo di ira repressa. Siamo liberi, lo hai sempre detto. Vuoi seguirmi? Tormentarmi? Umiliarti? Umiliarci? Ti rendi conto di quello che stai dicendo?
Lei si alzò e vide tutto di nuovo con grande lucidità. Le fibre di lui la stavano assorbendo, trasmettendogli sicurezza. Si sentiva parte di un nuovo ordine, più primitivo in certo modo, ma anche più ferinamente semplice e ordinato.
Io sono il tuo pasto svogliato, disse con disprezzo. E ricadde seduta.




Capitolo 3

Lasciò l'appartamento finito il pasto. Sentiva il fiato di lei appiccicato alla camicia, già frusta dopo poche ore. Lavarsela di dosso, scrostare quell'appiccicore e respirare, Dio, respirare... era l'afa di quel primo pomeriggio unita al peso digestivo, la canicola di un agosto o un'oppressione più antica a sollevargli il petto affannoso ed umido?
E questa ribellione , perché solo oggi? "Ovunque tu vada..." le parole di lei gli rimbombavano nelle orecchie, incubo infinito, minaccia e maledizione. Il pieno sole lo investì e fece barcollare. Non importa, pensò, sono fuori, ancora qualche passo e svolterò l'angolo e con quell'angolo svolterà la vita, per me. Un nuovo orizzonte è tutto ciò che serve, e quest'oppressione svanirà col vento che dal mare mi colpirà come fa con una vela.
Sarà come una volta, quando i miei pensieri erano miei, il mio odore solo mio. Questo condividere ossessivo è terminato, terminato per sempre. Strega, regina del possesso spacciato per amore. Sesso e schiavitù, supplizi e paradisi. Artifici ed incantesimi... a mai più!
E quel pasto,odioso pasto così presente fra di noi, le tue amorevoli mani ad imbottire il mio corpo, a spacciarsi per nutrimento nella più sfacciata delle alchimie!
L'angolo della via era vicino, ed oscillava allo sguardo di lui per il gran calore che si alzava da terra. Ad un tratto si sentì un po' male. Non aveva digerito, non aveva digerito affatto. Pochi passi e sarà l'ombra, sarà il vento del mare, sarà il mio futuro - pensò, ma un pensiero agghiacciante lo sorprese a filo di mente, come un anticipo di quel vento tanto agognato. Perché negli occhi di lei quel sorriso sicuro e quieto, proprio nel mattino in cui lui se ne sarebbe andato per sempre?
Perché non si era disciolta in lacrime o preghiere? Perché, invece, si era seduta tranquilla e quieta a vederlo mangiare? E perché quel cibo non ne voleva sapere di scendere per le sue viscere, per la strada così nota, e l'unica possibile?
Tre passi ancora, e avrebbe svoltato all'angolo bianchissimo bombardato di sole. Strizzò gli occhi, e si accorse di barcollare. Goccioloni di sudore gli rigavano il volto, le gambe non lo reggevano e d'un tratto un fortissimo crampo alla bocca dello stomaco lo piegò in due. S'appoggiò a quel muro, le braccia a fasciarsi il ventre squassato dal dolore. nella mente ormai appannata un solo ossessivo pensiero "il cibo... perché lei cantava quel mattino, nel prepararlo? Cosa gli aveva dato da mangiare?"
Tutto questo non era normale, ma la sua mente confusa si aggrappava solo all'angolo, e trascinò con l'ultima volontà quel misero corpo madido di sudore, passo per passo. E l'angolo fu raggiunto. Davvero lì dietro v'era l'ombra, ed uno zefiro leggero e fresco avvolgeva benedicente ogni cosa, e l'orizzonte svelava il mare più blu possibile. Ma a lui dovette bastare il successo del variato orizzonte, e la promessa che quella svolta portava con sé. Dovette bastargli per forza, perché altro non vide più.
Il film che lui rappresentava, finì lì, accasciato in un angolo, in mezza ombra, come un mucchio di reti da pesca, mentre il sudore si ghiacciava sul corpo inutile, e la bocca aperta restituiva alla ghiaia ciò che lo stomaco di sasso non avrebbe digerito mai.


Capitolo 4

Si riprese dallo stato di non consapevolezza causato dal dolore, l'immagine un po' annebbiata che si trovava davanti, questa distesa azzurra il mare ...come era lì in quel posto? Per un motivo casuale ma ben preciso,purificato dopo che lo stomaco si era liberato, andò incontro a questa immensità con tanta gioia e un pizzico di paura. Se mai si fosse trovato fra le onde in balia di qualcosa di sconosciuto... "niente paura" si disse "solo fino alle ginocchia, poi se la cosa è piacevole posso anche continuare". Come si avvicinò all'acqua lo stomaco incominciò ancora a rivoltarsi "quale sarà mai la tua condizione migliore, non c'é nessuna reazione, continua con calma..." era naturalmente vestito, non si era posto il problema , aveva un bisogno assoluto di lasciarsi andare per poter calmare questo stomaco troppo preso di sè, dentro l'acqua senza nessun timore, il ricordo in bianco e nero, nella pancia della mamma.
Si lasciò scivolare, una sensazione lo avvolse,sconosciuta data l'età, ma nel profondo viva e rassicurante, il suo ambiente era questo sin dalle sue origini ,la sua mente non ricordava tempi così lontani ma qualcos'altro in lui gioì di tanto. Sdraiato, si lasciò cullare.
"Guarda il cielo tutto azzurro..." non sapeva più dove stava in tutto questo, dov'era la realtà? No, quel preciso momento non era reale, stava vivendo tutto al di fuori di ogni condizionamento, ma libero di sognare...sì, sembrava un sogno.
Non avrebbe voluto risvegliarsi, un'onda cullandolo lo appoggiò dolcemente a riva. Tutto l'incantesimo finì,era il momento di appoggiare i piedi per terra e tutto ritornò come prima, "no non torna tutto come prima" era cambiato, aveva vissuto un momento che non sapeva nemmeno che esistesse. Ora sapeva.


Capitolo 5

Si alzò di scatto dalla riva, ma il suo corpo restava lì inerte.
La folla d'agosto non tardò ad arrivare, vocio, urla, sirene, ambulanza. Aveva vissuto l'inizio e la fine in un attimo.
"Io sono dentro di te, ora ti appartengo, completamente" La voce di Anna echeggiava sulla riva del mare, un tono freddo, metallico, mentre i curiosi venivano allontanati dal suo corpo.
Di certo Anna non l'aveva presa male, separarsi dopo tanti anni, e poi senza un motivo preciso, una deprimente realtà, sempre più svuotata di senso. Non le aveva mai confessato i suoi ripetuti tradimenti, avrebbe infierito inutilmente, tanto la fine era inevitabile.
Ma allora cos'è che l'aveva ferita tanto da avvelenarlo, da farlo morire dopo atroci sofferenze? Perché?
Anna sempre controllata, misurata nei movimenti, ore per apparecchiare con cura, quei piatti blu col bordo bianco argenteo sempre perfetti, coordinati con la tovaglia, con le posate, con i fiori, con le candele, con le tende, con il suo foulard, con i suoi occhi.
Anna e la perfezione ossessiva, spacciata per amore e buon gusto.
Anna che non si era sconvolta neanche quando i suoi genitori erano morti all'improvviso, o quando il terremoto le aveva raso al suolo la villa di famiglia. "Sarà quel che Dio vorrà" diceva sempre, con quel distacco sereno che infondeva calma in tutti.
E proprio per questo l'investigatore Rallo non riusciva a frenare i pensieri. Mai vista una vedova così composta e ordinata, disponibile al colloquio, senza esitazioni, senza un attimo di commozione, efficiente, persino!
Quando doveva comunicare la notizia di un suicidio ai parenti, Rallo cercava di prepararsi mentalmente, ma poi l'impatto con l'esplosione emotiva era sempre devastante. Generalmente osservava due reazioni nei familiari del suicida: o si colpevolizzavano, angosciati - dovevo capirlo, come ho fatto a non accorgermene-, oppure diventavano aggressivi, - non ci credo che si è tolto la vita, è impossibile, ci sarà sotto qualcosa, dovete indagare meglio...
E con rispetto e delicatezza pian piano Rallo riusciva a defilarsi, per non invadere oltre un dolore profondo.
La signora Anna aveva stravolto ogni sua classificazione, neanche un po' di sudore in quell'agosto così afoso.
... si, Marco aveva qualche momento di tristezza, ma aveva sempre scelto di tirarsi su frequentando altre donne, io l'ho accettato, l'amavo;...ma non siamo noi umani a dover capire il vuoto che lasciano certi gesti....si, durante il pranzo era assorto nei suoi pensieri, né più né meno di altre volte....mi mancherà, certo, ma sa, io sono in lui e lui è in me e questo dovrà accettarlo persino la Morte!
Rallo scriveva in fretta i suoi appunti, li rileggeva, riannotava una sensazione, un colore, un'intuizione.
Questo era il suo metodo, tanto criticato dal capo, vero burocrate della polizia.
L'intuizione...
Eppure Rallo sapeva che solo cominciando a ragionare come l'altro avrebbe intuito improvvisamente, la logica, i movimenti, i pensieri.
Per questo uscì e comprò una decina di oggetti blu, li sistemò ben distanti sulla scrivania e cominciò ad applicare il suo metodo.
Intanto Anna rifletteva sul divano blu, con una fredda luce azzurra, e uno strano celeste turbamento.


Capitolo 6

Rallo stava seduto nel suo ufficio intento a leggere per l'ennesima volta i suoi appunti ma non riusciva a concentrarsi, si sentiva soffocato; alzò gli occhi per dare un'occhiata all'aria condizionata ma a malincuore vide che non era lei la causa dell'orrendo caldo che sentiva.
Posò il suo sguardo stanco sul bordo della scrivania, passò in rassegna tutti quegli oggetti blu privi di significato che aveva comprato ed ad un tratto sentì dei brividi lungo la schiena.
-Forse è tutto questo dannato colore blu...non resisto...- Si alzò e andò lentamente nell'altra stanza,...si, lì avrebbe trovato la quiete psicofisica per ragionare.
Rallo non riusciva proprio a catalogare il comportamento di Anna, la sua totale indifferenza, il suo modo di distaccarsi dall'accaduto e poi quella storia sulle scappatelle di Marco...-l'ho accettato, l'amavo-...Pse!! sembra vero!! continuava a ripetere a se stesso come se doveva convincersi di qualcosa.
Rileggendo ancora una volta gli appunti, notò una cosa che prima gli era sfuggita o più semplicemente non gli aveva dato il dovuto peso. -Che diamine potrà voler dire io sono in lui, lui è in me ed anche la morte dovrà accettarlo......??-
Ripeteva quella frase ossessivamente, alle sue orecchie suonava come una sorta di benedizione.
-Anna ha benedetto la morte di Marco, ma non ha senso-. Infatti tutto non aveva senso, come poteva benedire la morte di Marco se l'amava??? Come poteva rassegnarsi così alla sua dipartita???.
Queste domande risuonavano nella mente di Rallo come il tic tac di un orologio. I suoi occhi ancora più stanchi vagavano nella stanza alla ricerca di conforto, di appoggio morale; tutto quello che gli frullava in testa erano solo ipotesi, nulla di concreto da cui iniziare, solo quelle incomprensibili dichiarazioni ed un corpo.
-Corpo...corpo... ma certo perché non ci sono arrivato subito!!- Sobbalzò dalla sedia e si precipitò nel suo ufficio, prese il telefono e senza perdere un minuto di più, ordinò l'autopsia del cadavere di Marco. Pensò che dopotutto era meglio un corpo fatto a fette ed analizzato per ricavare qualche informazione che rimanere lì con le mani in mano ad autolesionare il cervello cercando di dare un senso alle dichiarazioni di Anna.
Ogni qualvolta Rallo scendeva la scala dell'Edificio di Medicina Legale, che portava alla sala autoptica, aveva il cuore che andava a mille, contava ogni singolo passo che lo separava da quella saletta non che avesse un amore sviscerato per tutto quel tagliuzzare ma, per colei che lo eseguiva si. Era arrivato all'ingresso della sala o come era solito chiamarla lui, "dei macellai"; diede un'occhiata al suo interno tanto per rendersi conto che li l'arredamento non cambiava mai. I suoi occhi furono catturati da un'ombra che si muoveva attorno ad un tavolo da autopsie.
-è lei..- disse tra se e se in preda ad eccitazione di tipo adolescenziale. Quel lei era riferito alla Patologa Federica Giorgi, più che medico un vero talento nel suo campo.; donna vivace, carattere solare, tutte cose che contrastavano con il suo lavoro un po' tetro... almeno agli occhi di Rallo. E proprio questi occhi si erano persi nelle sue armoniose movenze, nel suo contorno non bene delineato a causa di quel camice bianco che rende tutti coloro che lo indossano una sorta di cloni; scrutavano ogni suo minimo movimento, lo assimilavano.
Socchiudendo gli occhi riusciva a percepire l'odore dei suoi morbidi capelli e della sua pelle vellutata.
Tornò presente, anima e corpo, solo quando udì la voce di Federica. -Carissimo Stefano Rallo, hai deciso di rimanere sulla porta tutto il giorno?- disse con voce pacata e rassicurante,-se sei venuto fin qui per rimanere sulla soglia, potevi risparmiarti il viaggio, ti avrei fatto sapere per telefono!!-
Stefano notò un lieve velo di ironia nella sua voce.-Arrivo, arrivo,..aspettavo l'ok.-le disse sorridendo. Nonostante la sua corporatura non fosse più da atleta in perfetta forma fisica, entrò nella stanza con passo lento e leggero quasi non volesse calpestare la sacralità dell'atmosfera che li vi si respirava.
-Allora..che mi dici??... scoperto qualcosa di interessante o devo informare la sig. Anna che il caso è stato chiuso con il verdetto di suicidio??- Federica lo guardò con gli occhi un po' strizzati e gli sorrise..-devi avere un talento naturale per queste cose- le parole uscirono dalla bocca di Federica colme di ammirazione.-Dall'esame preliminare il corpo non presenta nessun segno particolare che possa mettere in discussione il suicidio- Stefano la guardò ed ammiccando un sorrisino le disse di avere la netta sensazione che c'era un ma..in arrivo..
-Vedi.., l'ho detto che hai talento..; si c'è un ma, esaminando i tessuti degli organi interni ho trovato una cosa a dir poco strana-
Stefano non reggeva più la lacerante curiosità che gli era sopraggiunta, i suoi occhi erano diventati grandi come palle di biliardo e le orecchie si erano fuse in una sorta di antenna parabolica, intenta a catturare ogni singola sillaba che usciva dalla bocca di Federica.
-Beh..non tirarla tanto lunga..che hai scoperto??-
Federica rimase sorpresa dall'irruenza di Stefano ed in quel momento aveva visto emergere dall'interno di quel corpo non più tanto atletico, l'anima del grande segugio, di chi punta alla meta e non la molla.
-Se una persona ingerisce cibo, si presume che prima o poi lo digerisca, invece qui non c'è traccia di assimilazione da parte degli organi.- A Stefano non sembrava poi molto strana la cosa, pensò che in fondo poteva essere morto ancor prima che la digestione cominciasse il suo corso..
Federica proseguì- non dico che nulla di quello che ha ingerito è stato attaccato dai succhi gastrici..solo che non so dove è andato a finire il cibo, forse l'ha vomitato, ma qui all'interno delle pareti dello stomaco c'è solo un residuo giallastro dalla consistenza gelatinosa che nessun esame di routine è riuscito ad identificare.-
Di colpo Stefano sentì nuovamente l'eccitazione risalire in lui. -Mi stai dicendo che la colazione è sparita e al suo posto c'è quella schifezza giallognola??- Federica lo guardò intensamente e gli spiegò che quella cosa gelatinosa non si era sostituita al cibo...ma ne era parte integrante, solo che i succhi gastrici l'hanno attaccata più velocemente di quanto potessero fare con il resto della colazione.
Stefano si sentì come Forrest Gump, non riusciva più a seguire il discorso però, grazie a quanto detto da Federica, ora sapeva che Marco non si era suicidato. -Mi hai detto che icon i classici esami non è stato possibile identificare la sostanza, e con quelli.. diciamo meno classici?-
Federica sorrise, sapeva che lo avrebbe domandato e così aveva ordinato tali esami in largo anticipo. -In serata o al più tardi, nella mattinata di domani saprò i risultati.-
Stefano le lanciò uno sguardo che andava al di là dell'ammirazione professionale -Perfetto, perfetto così avrò un pò di tempo per tornare a fare quattro chiacchiere con Anna...chissà che oggi non sia meno gelida...- si allontanò soddisfatto. Gli occhi di Federica lo seguirono sino all'uscita dalla stanza ..-è proprio un gran poliziotto- sussurrò mentre richiudeva il cadavere.


Capitolo 7

A quel punto non gli restava che tornare a casa e aspettare.
Si ritrovò con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra del piccolo appartamento, in alto, nel condominio anonimo, con il mento appoggiato alle mani e lo sguardo perso tra le luci bianche e gialle, tremolanti, della città sotto di lui, che si facevano più vive e nitide, man mano che il buio cresceva.
Aveva percorso il tratto di strada fino a casa in modo completamente meccanico, sfiorando corpi sconosciuti, attraversando incroci indifferenti, concentrato su due cose: lo sguardo di Federica (che messaggi gli mandava? Quali avrebbe voluto leggere, lui in quegli occhi chiari e intensi?) e la schifosa poltiglia gialla nello stomaco del cadavere.
Occhi chiari, poltiglia, il cuore che accelera i battiti, che cavolo, non sono un ragazzino scemo! Controllati.
Intanto il suono della città viene interrotto dal suono di un campanello... ma è il mio campanello!
Stefano Rallo apre la porta e quasi sviene perché si trova davanti proprio lei, no, non la poltiglia ma Federica, i suoi occhi, il suo corpo senza il solito camice bianco.
Non riuscì a ragionare, né a fermare il cuore, né a dire "ciao, come mai sei venuta qui?" L'abbracciò forte (chiudendo la porta con un piede), se la tenne stretta con le mani grandi, e Federica, dopo un attimo di sorpreso irrigidimento, si lasciò andare dentro quell'abbraccio, poi si scostò un poco, lo guardò con un sorrisetto ironico e lo baciò.
Il suo lavoro la portava ad amare fortemente la vita, a vivere ogni attimo come se fosse l'ultimo, a godere delle piccole cose con gioia.
Con Stefano, anzi, il Commissario Rallo, le piaceva quel gioco a non dire, sentendo le stesse cose, divisi da un camice bianco e da una giacca con cravatta troppo professionali. Ma adesso andava bene così e cominciò a sbottonargli la camicia e ad accarezzarlo.
Quel fare l'amore fu lungo, delicato e forte, nel semibuio della sera, con la finestra aperta di là, che mandava il profumo di inizio estate e forse le luci della città che cominciava a vivere la notte.
Dopo un lungo silenzio, un sorriso. "Scusa, cosa volevi? Non eri mai venuta a casa mia".
"Ho scoperto qualcosa, qualcosa che non esiste, o almeno non esiste più da tempo, un veleno antico, ti spiegherò, ho parlato con uno storico, un archeologo, uno che si intende di civiltà scomparse. Pensa, se è quello, dovrebbe trattarsi di una polvere blu".



Capitolo 8

Bene. La pazzia era venuta a galla, senza bisogno di parole, senza l’ipocrisia dei sentimenti: pazzi dentro e saggi fuori dice sempre lei. E noi lo siamo: razionali, ordinati, seri sul lavoro, e la pazzia si indovina forse soltanto in un’occhiata ironica, in un’increspatura del sorriso.
Forse ci assomigliamo in questo, però … avrei preferito più tempo, più dolcezza, la possibilità di parlarci, di coccolarci con i sentimenti. Mah!
Intanto che pensava a queste cose e a quello che era successo tra lui e Federica, rientrava nella vita quotidiana; la camicia, la cravatta, il caffè che stava uscendo con il suo profumo e il borbottio rassicurante… lei se n’era andata, senza problemi, parole, spiegazioni, semplicemente, e a lui restava una strana, duplice sensazione di rimpianto e di libera leggerezza: non era sua, forse sarebbe stata soltanto vicino a lui, a volte.Ma cosa l’aveva portata a casa sua la sera prima? Avvelenamento, polvere blu, antichissima … no, quella era pazza dentro e fuori!
Tornando in ufficio, immagini e pensieri si affastellavano e poi si dileguavano e gli tornava in mente il Commissario Maigret, l’unico, irripetibile commissario, che quando investigava su un crimine non pensava, anzi svuotava la mente per fare posto alla vita di fuori, ai personaggi che la animavano, alla storia delle persone: diventava una spugna, lui, assorbiva la vita che gli si rivelava nella sua trama e tutto diventava chiaro, la spiegazione semplice… sarebbe riuscito anche Rallo in questo? Sorrise, un po’ triste, stanco.
Intanto entrava in ufficio, dove trovò sulla scrivania la busta che Federica gli aveva lasciato, con tutta la documentazione.
Rallo cominciò a leggere.
L’autopsia aveva rivelato lo stato di avvelenamento, ma non la sostanza che l’aveva provocato. E comnque, uno strano avvelenamento, dato che non derivava dal cibo, che non era stato assimilato, ma dalla sostanza gelatinosa e giallastra che era rimasta nello stomaco. Su due dita della vittima erano state ritrovate tracce della polvere di cui gli aveva parlato Federica, anche quella non identificabile. Era stato il colore a portare a quella strana congettura e poi a contattare il dottor Bearman, famoso egittologo londinese. Il colore … blu, non scuro, ma acceso, quasi turchese, che a Federica aveva ricordato la decorazione di un vaso egizio che l’aveva particolarmente colpita durante una visita al "British", la scorsa primavera.L’egittologo, rintracciato dopo complicate ricerche che a Rallo non interessavano, aveva capito di che vaso si trattasse: l’iscrizione in blu riguardava effettivamente una "polvere degli dei" che permetteva il lungo viaggio della morte insieme al faraone, di servi e familiari che dovevano seguirlo. Il colore utilizzato per l’iscrizione era una sostanza sconosciuta e intorno al vaso era nata una leggenda circa il potere di uccidere chiunque lo toccasse. Raccapricciante, pensò Rallo. Inoltre tutto ciò gli pareva ancora molto lontano dalle sue indagini: Federica avrebbe dovuto limitarsi a fare il medico, l’investigatore, fino a prova contraria, era lui. Ma quello che gli frullava per la testa era il veleno, strano veleno, non modificava nulla, la poltiglia gialla era ancora senza spiegazione, come l’amore trasognato e sicuro della probabile assassina: io sono in lui e lui in me.
Doveva parlare a Federica, ancora doveva capire il rifiuto e la morte di quel corpo. Avrebbe parlato di nuovo anche con Anna, anche se il pensiero di incontrarla di nuovo gli procurava un senso di oppressione al petto.
Uscì in strada, respirò profondamente, si diresse verso il luogo in cui il corpo era stato ritrovato, cominciò a svuotare la mente e a assorbire come una spugna gli odori, i colori, la gente, le frasi, le case, gli angoli, le crepe sui muri.
L’aria ferma e afosa, dopo la curva, svoltando lungo il muro, diventava più fresca, si indovinava il mare.
Rallo continuò a camminare verso la spiaggia: anche lui aveva bisogno di respirare.
Il mare, in quell’ora del giorno, era di un blu profondo.
Anna era sulla spiaggia, da sola, piccola, di fronte al mare, un vago sorriso sul volto mentre camminava lenta, senza fretta e senza paura, senza dolore, forse.

[continua tu il racconto, inviandoci il tuo 9° capitolo, scritto liberamente]

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[pagina modificata il: 23/07/2005]

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